Ed ora eccoci agli ultimi tre vini del cuore, alle ultime tre aziende (ultime solo in ordine temporale) che hanno partecipato alla nostra Festa di compleanno. Li chiamiamo vini del cuore perché custodiscono un affetto: di un genitore verso un figlio, di un figlio verso il genitore, un amico o quant’altro. Sono vini della memoria, dedicati. Che nel caso specifico e nella giornata del 5 maggio scorso hanno supportato i nostri progetti umanitari a favore dell’infanzia nel mondo. E sui bambini non dobbiamo mai spegnere i riflettori. Sono tre storie che fanno grande l’Italia del vino. Tre storie friulane. Tre storie di frontiera.
LIVIO FELLUGA. Siamo nell’estremo nord est dell’Adriatico, centocinquantacinque ettari di vigneti tra Collio e Colli Orientali. Di questa azienda si conosce praticamente tutto. Il cognome Felluga è sinonimo di Friuli come pochi altri. O meglio di rinascita friulana, quando le colline ancora non si erano fatte un nome, non avevano una particolare vocazione ed erano abbandonate in massa. Lui, Livio, decise non solo di restare ma di dargli una dignità enologica e storica. Dignità che passava attraverso uno sguardo rivolto all’eccellenza, allora tutta da costruire. Se oggi il territorio può vantare un nome di un certo “peso” è anche e soprattutto merito suo. Due anni fa Livio, il patriarca, se ne è andato alla veneranda età di 102 anni circondato dall’affetto e dalla riconoscenza di una famiglia che è sempre venuta prima dell’azienda, prima dei numeri. La Livio Felluga è un esempio di come i rapporti umani anticipino quelli professionali. Il vino del cuore portato dalla figlia Elda non poteva che chiamarsi Il Livio, a lui dedicato in occasione dell’ottantacinquesimo compleanno. “Era ancora un ragazzo quando abbiamo pensato a questo vino”, scherza Elda Felluga, che insieme ai fratelli Maurizio, Andrea e Filippo porta avanti l’azienda. “È il primo omaggio che noi figli abbiamo voluto fare a un uomo straordinario che ha lasciato il segno in Friuli Venezia Giulia. Un uomo che ha creduto fortemente nelle colline, in particolare nella collina di Rosazzo, dove mise a dimora i primi venti ettari di vigneto”. E continua: “La sua più grande soddisfazione era avere noi figli in azienda accanto a lui”. Logo delle sue etichette nel mondo è un’antica carta geografica di queste terre scoperta negli anni Settanta in una bottega di antiquariato. Livio, cui piaceva ricordare le sue origini a Isola d’Istria, dove il bisnonno e il nonno producevano Refosco e Malvasia e servivano anche Francesco Giuseppe, imperatore d’Austria e Ungheria. Livio che credeva nella cultura come l’unica possibilità per la crescita di un territorio (“più sai e più vali”). Livio che considerava la famiglia il più grande risultato della sua vita. E che ripeteva: “Quando vedo un fiore nella mia campagna capisco che non si può essere atei”. Un vino, il Livio, che coniuga forza ed eleganza, blend di Pinot Bianco, Chardonnay e (il rarissimo) Picolit. “Ci vuole un connubio tra natura e sapienza dell’uomo, quando si raggiunge questo possono nascere delle belle cose, cose straordinarie”, dice Elda. Ma lui direbbe ancora oggi: “Cossa go fato de grande?”. Già, cosa ha fatto di grande.
VENICA & VENICA. Vini del Collio dal 1930. Siamo a Dolegna (Gorizia), casa colonica e vigneti circostanti, quaranta gli ettari aziendali, pratiche ecologiche a basso impatto ambientale. E un territorio speciale, il Collio, mosaico di microclimi, suoli di marne e arenarie stratificate di origine eocenica, portate a galla dal sollevamento dei fondali dell’Adriatico, che donano complessità ai vini. Daniele è il nonno capostipite, Adelchi la nonna. Due le famiglie in azienda, quelle di Giorgio e di Gianni Venica, per un totale di trecentomila bottiglie annue. Vino di punta è il Sauvignon Ronco delle Mele, una produzione di appena quarantamila bottiglie. Il vino del cuore è un rosso, un Merlot, vitigno che in Friuli diventa autoctono per come si è acclimatato nel corso dei decenni, a dimostrazione che anche qui si può bere bene e bere rosso. Il suo nome è Insieme, annata 2001, imbottigliato nel 2003 senza filtrazione, dopo ventiquattro mesi di barrique, sul mercato nel 2011, in occasione del 150° anniversario dell’Unità d’Italia. Insieme è un vino solidale, cinquantunomila gli euro donati alla croce rossa giapponese per il disastro di Fukushima dell’11 marzo 2011. Un gesto di vicinanza da chi il terremoto lo ha vissuto in prima persona nel 1976, quando il Friuli fu colpito al cuore.
VILLA RUSSIZ. Siamo sempre nel Collio Goriziano, ma questa volta a Capriva. Villa Russiz è un ente morale che racconta tante storie, e sono tutte storie d’amore. La fondazione gestisce il patrimonio immobiliare e agricolo investendo i proventi nella Casa Famiglia Elvine. Tutto ebbe inizio nel 1868 con il matrimonio tra la contessa goriziana Elvine Ritter de Zahony e il conte francese Theodor Karl Leopold Anton de la Tour Voivrè, perito agrario e viticoltore. Anno in cui il padre della sposa regalò alla neo coppia l’appezzamento terriero di Russiz. Un matrimonio che fece incontrare due mondi: quello del vino e quello della sensibilità per il sociale. Grazie ad Elvine fu fondata una scuola evangelica per i più poveri, aperta anche alle bambine, scuola che nel corso degli anni ampliò la sua mission con attività sociali e assistenziali. Grazie, invece, al conte vignaiolo e alle sue conoscenze, i vini raggiunsero notorietà tra i Reali d’Europa e alla corte degli Zar. Vini che successivamente con l’enologo Gianni Menotti raggiungeranno punte di eccellenza conclamata. Oggi sono cento ettari, di cui quarantacinque vitati, più di duecentomila bottiglie prodotte. Alla morte di Elvine, durante la Grande Guerra, entrò in scena come crocerossina la contessa Adele Cerrutti, che contribuì alla ricostruzione dell’azienda nel solco della solidarietà. Il progetto della casa famiglia, che non ha conosciuto interruzioni, è destinato ad accogliere una ventina di minori in difficoltà per un inserimento sociale attraverso attività di assistenza e formazione. Villa Russiz segue i bambini in difficoltà e, quando non versano in stato di totale abbandono, anche i genitori in modo da ricongiungerli il più presto possibile. Il vino del cuore è un Friulano biologico dedicato a una bambina venuta a mancare qualche anno fa. Proprio attraverso storie come questa la Fondazione Francesca Pecorari prova a far conoscere aspetti diversi del mondo del vino, legati a una sensibilità che va oltre il mero dato numerico. L’Italia che ci piace.