“Secondo un antico proverbio ebraico se salvi un uomo salvi tutta l’umanità. Io faccio quello che posso. Ma come diceva Einstein, conosco una sola razza, la razza umana”. Inizia così, con queste riflessioni sul senso della vita e della fratellanza, la nostra intervista a uno dei più bravi attori di teatro in circolazione, Gioele Dix. Anche bravo scrittore, l’ultimo libro è “Dix Libris. La mia storia sentimentale della letteratura” (Rai Eri), dove l’autore con un velo di ironia racconta le letture che dall’adolescenza ad oggi hanno contribuito a formarlo prima di tutto come essere umano. “Alcuni libri – i più preziosi – mi hanno fatto ridere. Altri mi hanno aiutato a capire, i più rari”, dice. “È difficile che un libro dia delle risposte, al massimo regala delle conferme”. Qui ci soffermiamo su uno degli aspetti meno conosciuti del personaggio: la solidarietà. Quel suo convinto “io faccio quello che posso, l’importante è fare” è contagioso. Sprigiona a sua volta voglia di fare, positività, concretezza. Ha potere aggregante. Quante volte sentiamo ripetere nella cerchia dei nostri amici o conoscenti “se lo fa lui lo posso fare anche io, lo voglio fare anche io”. Perché il bello di essere personaggi consiste nel dare il buon esempio, che a sua volta sarà imitato. Anche noi con la Fondazione Francesca Pecorari ci occupiamo di progetti umanitari legati all’infanzia nel mondo e lo facciamo con uno spirito di apertura e condivisione anche di esperienze e testimonianze di altre realtà con obiettivi condivisi. Perché c’è tutto un mondo della solidarietà vibrante di idee e di vita che merita attenzione. “Non conoscevo la vostra fondazione, adesso sì. Ci sono tante cose da fare nel mondo, c’è tanta ma tanta gente che ha veramente bisogno e qualcuno se ne deve pur occupare. L’importante non è chi lo fa ma farlo”, ci dice Gioele Dix (che nella foto di copertina posa con la nostra bottiglia di vino solidale Fatto in Paradiso). “In Friuli Venezia Giulia, a Sequals, ho svolto il servizio militare. È una bellissima zona, di grande tradizione vitivinicola”.
Gioele Dix che nel libro “Quando tutto questo sarà finito. Storia della mia famiglia perseguitata dalle leggi razziali”, racconta, andando oltre l’autobiografia, la vicenda di una famiglia ebrea costretta alla fuga. Come il padre, ebreo in fuga. Gioele Dix che mostra una grande attenzione e un grande rispetto per i temi sociali. Partendo dal rispetto di se stesso e del prossimo. “Quando si è conosciuti si è considerati fortunati e si è molto richiesti. Si pensa che si debbano aiutare le persone più disagiate, e questo è giusto che avvenga. In particolare, da molti anni mi sono focalizzato su una realtà, perché sono convinto che se si fa un po’ per tutti alla fine non si aiuta nessuno, ci si disperde. Io ho conosciuto gli amici e le amiche del Ciai, una onlus che si occupa di bambini, di adozioni a distanza. Sono milanesi, in piedi ormai da diversi decenni e sono loro che hanno adottato me. L’anno prossimo dovrei andare in Cambogia a vedere una delle loro, chiamiamole, missioni, anche se sono dei laici”, ci racconta Gioele. “Per me conta che siano brave persone, molto serie e credibili in quello che fanno. D’altronde qualcuno dovrà aiutarli questi bambini abbandonati, dispersi, soli. E non ha importanza che siano del nostro o di altri paesi, il dolore non ha frontiere e se tu fai del bene da qualche parte, prima o poi ti ritornerà, perché il bene è contagioso”.
Il Ciai è il Centro Italiano Aiuti all’Infanzia, che quest’anno ha da poco più di un mese celebrato i suoi primi cinquant’anni di attività. Loro sono stati i primi in Italia a fare adozioni internazionali attraverso una prassi poi riconosciuta per legge. Il Ciai ha lavorato con tanti paesi: Colombia, Cambogia, Burkina Faso, Costa d’Avorio e India. Tra le fondatrici Liliana Gualandi e il marito: insegnante lei, giudice onorario del tribunale dei minori di Milano lui. Tutto ebbe inizio nel 1968 grazie alla sensibilità e all’operosità di un gruppo di famiglie che decisero di accogliere al loro interno bambini abbandonati di paesi lontani, perché, come dice Liliana Gualandi, “i bambini soli sono bambini soli in tutto il mondo”. Da lì è stato costruito un percorso in salita. Altra figura di spicco del Ciai è Valeria Rossi Dragone, due volte mamma adottiva e presidente della onlus per ben ventiquattro anni, dal 1987 al 2011.
Il senso della vita, la morte, il tempo, l’idea del tempo infinito, concetti chiave che ritroviamo nel mondo del volontariato e che aprono a più interrogativi, sono stati indagati insieme ad altri più specifici come il destino, la casualità, la possibilità di mondi e strade parallele dallo scrittore argentino Jorge Borges e ripresi nello spettacolo teatrale Cata a Ciegas da Giole Dix, che impersona uno straordinario Borges giunto al termine della propria vita. “Ci sono un’infinità di percorsi paralleli che derivano dalle decisioni che non abbiamo preso. Alcune cose succedono perché è casuale”. E conclude: “Noi siamo quello che leggiamo e che non leggiamo. La lettura mi ha aiutato a capire meglio la vita, ciò che per fortuna o sfortuna ci accade. Ma ogni individuo, nel solco di Eugenio Montale, si costruisce anche attraverso quello che non fa, che non legge, che non pensa o le persone che non frequenta: attraverso le negazioni. Molto spesso il non fare una cosa ci qualifica molto di più del farne un’altra”.