Nel corso del nostro racconto non possiamo non parlare del Friuli Venezia Giulia, dei luoghi in cui Francesca è nata e cresciuta. E lo facciamo con una lezione approfondita sul territorio del suo papà, Alvaro. Quella di Francesca è una famiglia di viticoltori a San Lorenzo Isontino, nel Goriziano, nell’ ultimo tratto orientale della pianura friulana. Ma non siamo qui per parlare dell’azienda e dei suoi grandi vini. Siamo qui per condividere, almeno ci proviamo, uno spaccato storico fondamentale dell’Italia, cercando di comunicare valori e pezzi di vita che per noi sono autentici. E lo facciamo raccontando il territorio in cui ci muoviamo e in cui oggi ha sede la Fondazione Francesca Pecorari. Quella di Francesca è stata un’ adolescenza improntata su pochi ma solidi concetti: studio, lavoro in azienda, rimboccarsi le maniche per prepararsi un futuro. E poi gli amici, un piccolo gruppo musicale, il desiderio di viaggiare per conoscere, per capire il mondo vivendo altre culture. Sempre con la schiena dritta e con il sorriso. Un futuro che ha preso inaspettatamente e in maniera fulminea una piega diversa. Francesca aveva solo vent’anni. Il viaggio avrebbe dovuto essere un altro. Proprio per questo la solidarietà non è un valore astratto o un gioco per noi: dietro ci sono delle persone, dei sogni da realizzare, nel nostro caso sono i progetti educativi che riguardano i bambini delle zone più disagiate, ci sono delle attese che non devono essere disattese. Quindi, quel volo proviamo a farlo lo stesso. Anche con un’ala mozzata. È il volo della fenice. E da questi valori ci è impossibile prescindere.
Alvaro Pecorari racconta la sua terra, intrecciando vino e storia in un binomio inscindibile, ai produttori che hanno partecipato alla festa di compleanno di Francesca con i vini del cuore. Un gesto di gratitudine verso chi ha contribuito con impegno fattivo alla solidarietà. E lo fa dal monte San Michele, un suggestivo rilievo carsico in provincia di Gorizia, teatro di numerose battaglie durante la Grande Guerra, quando il Friuli si trovava diviso tra Regno d’Italia (provincia di Udine) e Austria-Ungheria (Contea di Gorizia e Gradisca). Un luogo disseminato di trincee, camminamenti, caverne. Dove si è fatta la storia dell’Italia…
“Sembra che abbiamo fatto tanta strada in auto, ma in realtà siamo a quattro chilometri dal paese col campanile veneziano che vediamo in lontananza ed è lì, sotto il campanile, che noi abbiamo l’azienda. A San Lorenzo Isontino. Il giro è più lungo perché lunga è la strada. È un angolo di osservazione privilegiato, questo. Quando si pensa a una zona viticola si crede che per vederla tutta sia necessario muoversi di parecchi chilometri. Ebbene, da qui, da questa terrazza panoramica sul monte San Michele, vediamo l’orizzonte, tutto il Friuli orientale. Sulla destra sorge la città di Gorizia, quella che un tempo era chiamata Nizza asburgica, bagnata dal fiume Isonzo: la parte che guarda versi di noi è la Gorizia italiana, quella sotto il monte è la Nova Gorica, ossia la città slovena, che oggi è più grande di quella italiana. Gorizia si affaccia sulla pianura isontina ed è un punto nevralgico fra mondo latino, slavo, germanico. Sulle sue alture, ad Oslavia, si trova l’imponente ossario con le spoglie dei soldati italiani e austro-ungarici caduti nella Grande Guerra. Ecco, su questo asse in direzione est, fino al monte innevato davanti a noi, scorre per un’ottantina di chilometri il confine orientale Italia-Slovenia. Il Monte Nero, che sorge a Caporetto, a pochi chilometri dal confine con il Friuli Venezia Giulia, domina quasi tutta la vallata del medio Isonzo: lassù in cima a monti, a oltre 2000 metri, persistono nevai estivi, caratteristico è il Lavador (lavatoio) innevato. Il Canin, sul cui lato nord sono presenti tre piccoli ghiacciai, è l’ultima montagna delle Alpi Giulie in terra italiana ed è la cima più alta (2587 m s.l.m.), oltre che una delle zone più nevose delle Alpi. Nel suo altopiano calcareo, oggi interessato da episodi di carsismo, possiamo trovare grotte abissali, di oltre mille metri di profondità. Là in alto, a sinistra, si intravede una sagoma scura: sono gli aspri massicci rocciosi delle Alpi Carniche, le più antiche dell’arco alpino, che segnano il confine con l’Austria. Quando con lo sguardo arriviamo nella vallata, avvolta dalla nebbia, immaginiamo la pianura friulana che guarda verso il Veneto. Se la vista fosse bella avremmo una veduta sulle montagne alle spalle di Pordenone. Ai piedi delle Prealpi Carniche incontriamo la base aerea Nato di Aviano: da qui a Gorizia lo sviluppo è di 150 chilometri. Questo è tutto l’ angolo orientale del Friuli, un asse che prima corre da sud verso nord come confine sloveno e poi da est verso ovest come confine austriaco. Una panoramica che è fondamentale per capire la posizione di una regione incastrata in mezzo a diverse situazioni storiche: da una parte i popoli slavi, dall’ altra quelli germanici. Da questa i popoli latini. La posizione geografica è rimasta la centralità storica del nostro territorio.
Non resta che chiedersi cosa possa essere successo da un punto di vista geologico. Quaranta milioni di anni fa qui c’ era il mare. Quando si è ritirato sono emersi i fondali marini. Che oggi sono tutte colline, dolci colline che si rincorrono senza soluzione di continuità. Le prime dietro il paese di San Lorenzo Isontino, molto boschive, sono italiane, dietro c’è il Brda sloveno. I due terzi di quest’area denominata Collio si trovano in Slovenia, così come tutti quei paesini che si arrampicano là in alto, a un chilometro in linea d’aria. È il mare il grande protagonista invisibile che ha creato un paesaggio di colline con terreni di sabbie compresse, marne calcaree e arenarie stratificate di origine eocenica, ricche di sali. Le arenarie sono le rocce più dure utilizzate come pietra da costruzione fino a cent’ anni fa. A est di questa zona di collina, al confine con la Slovenia, si estende l’altopiano Carsico, che significa terra rossa, arida, sassosa, ricca di calcare e ferro. Il triangolo Gorizia-Cormons-Gradisca racchiude invece l’ area che ha questa conformazione pianeggiante, un’ area che si è formata quarantamila anni fa con le ultime glaciazioni del periodo quaternario: il ghiacciaio dell’Isonzo scendeva dal punto in cui si incontrano oggi i tre confini Austria-Slovenia-Italia fino all’ altezza di Gorizia, qui ha finito di attraversare la zona montana e si è trovato di fronte un terreno di origine marina facilmente perforabile, per cui ha girato il senso di attività: non più nord-sud ma est-ovest. Man mano che avanzava si allargava, a un certo punto era più largo che lungo e non aveva più forza per spingere: così è finita l’ azione del ghiacciaio dell’ Isonzo. Si sono formati terreni di origine glaciale: le acque di scioglimento hanno trasportato dalla montagna rocce che hanno riempito il fosso che il ghiacciaio aveva scavato. Il nostro vigneto non porta la denominazione Collio ma Friuli Isonzo proprio perché si trova su questi plateau. Sotto i nostri piedi abbiamo un materasso ghiaioso di circa 40 metri di spessore. Ma a Gorizia raggiunge i 100 metri. Il plateau ha tre quote rispetto al livello del mare: 110 metri a Gorizia, 60 a San Lorenzo Isontino, 24 a ridosso del fiume. Ne risultano vini molto personali, sicuramente unici. Questa zona è un po’ meridionale perché Gorizia cade esattamente sul 46° parallelo, una situazione ideale per i vini rossi: la parte settentrionale della Valpolicella, le Langhe, la Valle del Rodano, Bordeaux sono tutte su questo parallelo. Sono aree con una propensione naturale per vini di struttura e di corpo. Una domanda sorge a questo punto spontanea: perché allora qui produciamo vini bianchi, o meglio la zona ne è particolarmente vocata? Facciamo cento metri verso sud, sulla montagna, e da un altro belvedere strategico ve lo spiego. Tutto questo attraversando a piedi dei percorsi di cannoni, a 240 m s.l.m.: erano quelli austriaci, perché l’ Austria è arrivata nel 1495 e se ne è andata nel 1918. Sono terre austriache le nostre, mia nonna era austriaca all’ anagrafe e il mio bisnonno ha combattuto nell’ esercito austriaco durante la Grande Guerra. Questi cannoni uscivano dalla montagna e difendevano Gorizia dai soldati italiani che volevano conquistarla. Per tre anni la guerra si è combattuta qui sotto, causando 111mila morti italiani, senza contare quelli austriaci e ungheresi. La nostra storia è sempre stata condizionata dalla posizione geografica: alla testata settentrionale del mar Adriatico e alla porta d’ ingresso da Oriente per l’ Italia. Il San Michele, nel cuore del Carso isontino, è un monte importante, oltre che suggestivo, proprio perché fulcro degli eventi bellici. Quest’anno si festeggia il centenario della fine della guerra. Peccato, e sono un po’ critico, abbiano abbellito la zona per i politici in visita senza concentrarsi sull’ obiettivo vero: portare qui le scolaresche, perché questo è un museo a cielo aperto in cui si è fatta la storia. Anche se oggi è frequentato più da ungheresi e austriaci che da italiani.
La parte orientale del Friuli si è distinta per i vini bianchi grazie allo scontro climatico continentale-alpino e mediterraneo. Scontro che provoca movimenti di masse d’ aria. La Valle del Vipacco è la porta dei venti dominanti di origine balcanica, come la Bora, che soffia da nord-est e abbatte l’umidità atmosferica, facilitando un microclima ideale per la completa maturazione delle uve. In particolare, diventa cruciale nella fase centrale di maturazione, nel periodo di luglio, agosto e settembre. La Bora riesce a creare quell’ effetto dello sbalzo termico che tende ad abbassare le temperature di notte e a favorire maturazioni lente, dove la parte aromatica dell’uva si esalta. È qui che comincia il gioco dei bianchi. La realtà dei nostri vini è molto condizionata dalla presenza di venti di origine balcanica che favoriscono lo sbalzo termico. Al tempo stesso siamo protetti dalle perturbazioni atlantiche dalla barriera delle Alpi Giulie. L’ aroma si esprime meglio proprio grazie al rallentamento della maturazione e dalla buccia si trasferisce nella polpa e nel vino: non serve essere in Alto Adige per poter estrarre aromi e neanche sull’ Etna, dove riescono a dar vita a vini aromatici grazie a differenze di temperature fra giorno e notte anche di 25 gradi. È il gioco della natura che ci favorisce. C’ è una sola regione in Italia che ha una posizione più cruciale della nostra: la Sicilia. Ma noi siamo subito secondi perché qui sono passate tutte le più grandi civiltà del passato: Roma ha messo lì Aquileia, che non esisteva, alla testa del Mar Adriatico, per favorire i trasporti via mare delle legioni: i legionari sbarcavano e per la loro politica di espansione territoriale ripartivano usando la Valle del Vipacco come strada verso nord-est. Aquileia nel I secolo d.C. era seconda solo a Roma per numero di abitanti. In questo modo è arrivata in Friuli una cultura alimentare di tipo mediterraneo: olio, grano e vino. I primi vigneti sono nati sul litorale, dove oggi sono in mano a cantine sociali che puntano a produrre Prosecco e Pinot Grigio a duecento quintali per ettaro, facendo quindi un altro tipo di vino dal nostro. Quella è una zona che sta soffrendo di mancanza di identità, però vi si possono fare grandi rossi perché, quanto a suolo e clima, ci sono condizioni molto simili alla riva destra di Bordeaux, artefice dei miracoli negli anni ’90 con Pomerol e Saint-Emilion. Dopo Roma, sul territorio ha avuto una fase breve ma importante la Serenissima, che ha preso il Friuli come baluardo difensivo degli interessi commerciali del Nord dell’ Adriatico, favorendo nel 1400 l’insorgere di città-fortezza il cui perno era Palmanova. Anche Gradisca era una fortezza ed è stata incendiata dai turchi per tre volte in cinquant’ anni, perché l’ Impero Ottomano contrastava la Repubblica di Venezia per il predominio del Mediterraneo orientale. I turchi risalivano la Dalmazia usando la Valle del Vipacco per entrare. Venezia ha avuto un ruolo di spicco sul vino: sono arrivati vitigni anche dalla Grecia, dal Peloponneso: pensiamo alle Malvasie, che sono più presenti in Istria, ma soprattutto alla Rebula, ossia la Ribolla, che ha trovato un terreno molto fertile non in Italia ma sulle colline del Brda sloveno. Oggi il 60% del vigneto sloveno è costituito dalla Ribolla, un vitigno che proviene da terreni rocciosi, ha bisogno di tanto caldo, eppure non riesce a fare gradazione alcolica e mantiene acidità elevatissime. La Ribolla vive bene sulla roccia e deve stare sotto il sole tutto il giorno, senza acqua, per questo le colline più alte del Brda sloveno sono ideali.
Nel 1495 il patriarcato di Aquileia concede alla famiglia degli Asburgo il controllo della contea di Gorizia e di Gradisca. Gli Asburgo sono arrivati e hanno capito subito che questo era un punto cruciale per l’ Impero. Cospicui investimenti sul territorio ne sono stati la conseguenza logica. È nato il porto di Trieste, che dopo l’ apertura del Canale di Suez è diventato il sesto porto mondiale per movimento di traffici verso nord. In quegli anni è stata costruita anche la prima grande ferrovia europea, la transalpina, che congiunge Trieste a Vienna. E si coltivava frutta in grandi quantità: questa zona era il giardino dell’ Impero. Alla fine del 1800 l’ Austria ha investito nel vino e sono arrivati sauvignon blanc, chardonnay, merlot e cabernet, più tardi anche il pinot grigio. Abbiamo un’ eredità austriaca importante. I nostri vitigni, se tralasciamo gli autoctoni, sono qui da 130 anni e ormai si sono acclimatati al punto che non trovo corretto chiamarli internazionali. La nostra non è una viticoltura latina, perché il vino non porta il nome del territorio, come il Barolo, il Chianti, il Valpolicella. Noi apparteniamo a un mondo germanico: è l’ uva che dà il nome al vino. Purtroppo questa regione è ancora un po’ sottovalutata. Con la Grande Guerra siamo passati dall’ essere il meridione di un impero florido al settentrione di un regno povero, ed è già un duro colpo. La Seconda guerra mondiale ha creato una regione cuscinetto tra un’ area orientale dove comandava il blocco russo e un’ area occidentale dove comandavano americani, inglesi e francesi. Per tanti anni siamo stati abbandonati qui con la nostra storia. Nessuna terra è stata soggetta attraverso i millenni della civiltà a vicende tanto varie e a prove tanto atroci. E questo ci ha forgiato il carattere”.