Oggi vi facciamo conoscere un altro nostro amico di lunga data, una di quelle persone che ha saputo starci accanto nei momenti più difficili. Perché quando l’amicizia è autentica non serve vedersi tutti i giorni, a volte il lavoro porta ad allontanarsi fisicamente da un luogo per un periodo. Ma l’amico vero sa restare tale anche nelle assenze e quando poi ci si rivede si scopre un’amicizia più forte, più salda, di quelle che bastano poche parole per capirsi. Paolo Brusin è segretario della Fondazione Francesca Pecorari. Dal vedere nascere Francesca, dall’essere uno di quegli amici appena descritti a far parte di una onlus in sua memoria non è stato facile neanche per lui. Sì, perché confrontarsi con la morte è complicato, ancora di più quando colpisce un amico, ancora di più quando travolge un giovane, quando la percepisci innaturale, brutale, un colpo tremendamente basso della vita. Non è facile reagire, non è facile attivare il meccanismo di trasformazione del dolore in qualcosa di positivo, che possa essere di aiuto agli altri. Noi ci abbiamo provato con il sostegno di questi amici silenziosi. Ed è nata nel 2003 la Fondazione Francesca Pecorari. In ricordo di una figlia. Di una sorella. Di un’amica. In ognuno di questi rapporti speciali Francesca vive ancora. Così come vive nei sorrisi di tutti quei bambini che proviamo ad aiutare dal Sud Est Asiatico all’Africa a chissà quale altra parte del mondo rivolgeremo lo sguardo.
“Ero compagno di classe di Lorena, la mamma di Francesca. Ci conosciamo dalle elementari. Sono amicizie nate sui banchi di scuola che ti porti dietro per tutta la vita”, racconta Paolo, che vive a Udine e di professione è consulente finanziario. “Alvaro l’ho conosciuto dopo, all’età di 18 anni. E gli amici sono diventati due. Dagli anni ’90 ci siamo un po’ persi di vista per colpa degli impegni di lavoro di entrambi. Ci siamo ritrovati a partire dal 2000, poco prima dell’incidente, avvenuto il 7 dicembre del 2002. Oggi sono più o meno quarant’anni di amicizia. Di loro ho sempre ammirato l’etica, i forti valori contadini alla base della vita e del lavoro, la solidità, l’unione. E ho trovato straordinario il modo di reagire alla tragedia: sempre uniti, sempre nella stessa direzione. Poi come Lis Neris fanno anche grandi vini. Potrebbe sembrare un altro discorso ma non è così, perché Fatto in Paradiso, il vino della solidarietà, è uno di questi grandi vini, creato con lo stesso amore, la stessa cura di tutti gli altri”. Paolo non ama apparire, preferisce restare dietro le quinte, a disposizione. Il suo è un profilo basso. Di chi entra in punta di piedi e non vuole disturbare. Ma il nostro racconto social, che in parte ha dinamiche diverse, non può prescindere da lui, dal suo contributo, che per noi è importante. “La sera che Francesca è nata eravamo tutti insieme. La mattina mi ha chiamato Alvaro per darmi la lieta notizia. All’epoca ci frequentavamo abbastanza spesso”. E continua: “La cosa che mi ha colpito di Francesca era la sua curiosità, doveva sempre sapere tutto. I suoi ‘perché’ ‘perché’ ‘perché’ li ho ancora impressi nella memoria. La sua era sete di conoscenza, quella sorta di ansia che appartiene alle persone più intelligenti. Già da piccola non si fermava davanti a nulla, non aveva nessun problema a interagire con il mondo. Mondo che sognava di esplorare. Ecco il suo interesse per i viaggi. In particolare uno con la famiglia le resterà dentro per sempre: in Thailandia, dove ha potuto toccare con mano la povertà materiale e intellettuale dei bambini. Lei sapeva di avere tutto rispetto a loro e questa cosa la trovava profondamente ingiusta. Era rimasta molto colpita dalla contrapposizione tra loro e noi. Così nasce il suo desiderio di stare accanto ai più indifesi, ai più piccoli. A lei piaceva fare, rendersi utile”.
“All’inizio uno pensa al futuro e mette dei ‘se’ e dei ‘ma’ perché deve capire cosa vuol fare. Ai giovani piace sperimentare, mettersi alla prova prima di trovare la propria strada. Francesca si era poi integrata nell’azienda. La bottiglia di Fatto in Paradiso, per esempio, è opera sua. Lei e la sorella erano due caratteri opposti: una esuberante, partiva; l’altra molto riflessiva. Una frenava dove l’altra spingeva. Era un rapporto che si completava. Dopo l’incidente Alvaro mi chiamò per dirmi che Francesca doveva rimanere, doveva continuare a vivere. E nacque l’idea di una fondazione. Da estimatore del mondo anglosassone mi sembrò fin da subito un’ottima cosa. In quei paesi la solidarietà è in mano ai privati, che molte volte arrivano dove le istituzioni pubbliche hanno difficoltà ad arrivare. Oggi la fondazione ha al suo attivo tanti progetti diventati realtà. Io, tramite una professoressa che allora insegnava all’Accademia di Belle Arti di Urbino, mi ero attivato per la parte relativa ai concorsi nelle scuole d’arte del Friuli: il premio si chiamava Francy for Arts. Un’altra idea molto carina nata due anni fa per volontà di Alvaro è stata quella di abbinare con dei produttori già affermati dei giovani friulani che hanno trasformato l’azienda paterna in una realtà vitivinicola. Un modo per mettere degli emergenti in contatto con aziende di un certo livello. I ragazzi sono stati entusiasti”. Conclude rivolgendo un pensiero all’amico: “Di Alvaro ammiro la voglia di fare, di costruire, il non arrendersi. Se penso all’entusiasmo, al non essere mai ferma, Francesca aveva preso molto dal padre. Sono felice di essergli vicino. Non ci vediamo moltissimo ma la distanza è relativa: quando ci ritroviamo è come se ci fossimo lasciati il giorno prima”.
Alla voce “Come partecipare” tutte le indicazioni per ricevere la nostra bottiglia di vino solidale Fatto in Paradiso.