Questa che vi stiamo per raccontare è una bellissima storia, di un rabdomante. Per molti di noi la rabdomanzia è qualcosa di magico, misterioso, sicuramente affascinante. È la storia di fratel Dario e del suo impegno umanitario in Africa. Fratel Dario è un missionario comboniano laico originario delle valli del Natisone, nella parte più orientale del Friuli Venezia Giulia. E proprio lui è fonte di ispirazione di una piccola ma molto sentita iniziativa di solidarietà dal nome ‘Diamo un taglio alla sete’. A presentarcela, la nipote, Anna Laurencig, intervenuta alla nostra festa di compleanno sabato 5 maggio, occasione per fare il punto della situazione delle iniziative umanitarie della Fondazione Francesca Pecorari nel mondo. Ci sembrava il contesto adeguato per farla conoscere a tutti gli amici presenti, un modo per confrontarsi anche con altre realtà di solidarietà con obiettivi condivisi. Quelli di fratel Dario sono progetti educativi e idrici, perché c’è una relazione inscindibile fra l’acqua e la scuola in Africa: senza acqua non c’è vita e senza istruzione non c’è futuro. Fratel Dario con una bacchetta cerca l’acqua e la trova. “Laggiù lo chiamano lo stregone”, dice Anna Laurencig. Lui ha lo straordinario dono di trovare l’acqua nel deserto e in quasi 40 anni di onorata attività ha costruito pozzi, quasi 400, scuole e cucine per le scuole, dormitori, ambulatori, dispensari, un centro per bambini disabili, chiese e molto altro. Perché, e questo è il punto fondamentale del suo pensiero e del suo operato, bisogna sostenere l’Africa a salvarsi da sola, al di fuori di logiche assistenziali occasionali che servono a tamponare momentaneamente, ma non a risollevare situazioni di criticità importanti, forse solo qualche coscienza. Siamo in un continente in cui milioni di persone non hanno accesso all’acqua potabile e al cibo, il tasso di mortalità per aids, colera e malaria è elevatissimo, in cui una minima parte di bambini ha accesso all’istruzione e la vita media, come in Turkana, è inferiore a 40 anni. Stiamo parlando di paesi in cui ancora si muore per una semplice infezione. E in cui le armi prodotte dalle nostre industrie ci rendono colpevoli di stermini abominevoli. “Non è scaricando 100 sacchi di farina in un villaggio e andandosene che si aiuta l’Africa nel modo giusto, né mettendo nelle mani di una famiglia 100 dollari. Ma solo se facciamo sì che loro diventino dei polittici onesti, degli abili ingegneri, dei medici competenti l’Africa diventerà pian piano indipendente. Ecco il motivo per cui sono importanti i progetti educativi e idrici”, spiega Anna Laurencig. Con la sua bacchetta fratel Dario compie il miracolo: fa sgorgare l’acqua, il suo corpo riesce a percepirne l’energia e le vibrazioni in profondità.
ANNA LAURENCIG vive a San Pietro al Natisone, al confine con la Slovenia ed insegna in un centro di Formazione Professionale. Nel 2006 realizza il sogno di raggiungere lo zio Dario in una regione desertica nel nord-ovest del Kenya, il Turkana, una delle più povere e remote, al confine con Sud Sudan ed Uganda. Una storia antichissima quella della regione, almeno datata 3,3 milioni di anni fa, tanto da spingere gli scienziati, per via di alcuni ritrovamenti, ad anticipare di 800mila anni la data in cui si ritiene che la nostra specie abbia iniziato a utilizzare gli utensili. Proprio qui, nella Missione di Lokichar, Anna segue come educatrice i bambini del centro disabili e affianca lo zio nella ricerca dell’acqua in zone desertiche. “Dopo un’osservazione attenta delle caratteristiche di un territorio, lui individua il punto dove si trova l’acqua e il rametto nelle sue mani si mette a girare da solo. L’intensità del movimento e l’esperienza gli consentono di capire dove si trovi esattamente l’acqua, a che profondità, nonché la sua quantità e qualità. Ho visto con i miei occhi, alla profondità indicata da lui, dopo ore di getti di polvere, fumo e sabbia spinti fuori dal compressore, l’acqua sgorgare come se fosse un miracolo”. E continua: “Prima di partire non avevo ami visto un rabdomante in azione, pensavo che mio zio avesse qualche marchingegno elettronico. Lui è molto importante per le popolazioni del luogo: riesce a far funzionare tutto e costruisce le cose col fine di durare nel tempo. I pozzi che ha realizzato negli anni ‘70 sono ancora lì e sono funzionanti”. Conclude: “Quando ho mostrato le foto del Turkana a un gruppo di amici se ne sono innamorati e hanno deciso di realizzare un calendario per sostenere la costruzione dei pozzi. Da qui si è pensato di fare qualcosa in più ed è nato il vino della solidarietà. Tutto quello che serve, come capsule, bottiglie, etichette, scatole per confezionarlo, è donato, a partire dal vino che è offerto da 15 cantine. Nel 2006 abbiamo raccolto 350mila euro con una gara di solidarietà che ancora oggi riunisce tantissimi amici.
DIAMO UN TAGLIO ALLA SETE è il titolo di un’iniziativa nata nel 2007 per opera di un gruppo di enologi usciti nel 1994 dall’ istituto agrario di Cividale del Friuli. Un gruppo di professionisti e amici, che ha come direttore d’orchestra Paolo Comelli, che dopo aver frequentato il corso di studi quinquennale si ritrova nell’anno di specializzazione, ovvero la sesta. Da qui il nome ‘Fuori di sesta’ dato al gruppo, goliardico ma che riesce a confrontarsi con problemi seri come quello della sete in Africa. Il vino si chiama Vitae, o meglio i due vini, un rosso e un bianco, il cui ricavato serve per perforare un pozzo in Africa: Turkana, o prossimamente, Sud Sudan. Per un pozzo occorrono dai 7 ai 10mila euro, dipende da vari fattori, fra cui la profondità, le caratteristiche della terra. Vitae in latino significa ‘della vita’, ma si pronuncia ‘vite’ come la pianta dell’uva. Con il primo vino imbottigliato il 14 aprile 2007, un tocai 2006, fratel Dario ha realizzato in Turkana il primo pozzo. Diamo un taglio alla sete è un taglio, o meglio un assemblaggio: ogni anno, alcune settimane prima dell’ imbottigliamento, ognuno dei 15 enologi fa assaggiare ai colleghi dei campioni di vino di propria produzione. Degustazione, valutazione e scelta avvengono mescolando piccole quantità dei campioni prescelti per dare un assaggio dell’assemblaggio finale. Dal 2007 al 2013 sono state confezionate quasi 15mila bottiglie da 0,75 litri e oltre duemila magnum da 1,5 litri. Il dodicesimo vino è stato imbottigliato da poco. Una sorta di miracolo di Cana all’inverso: non trasformare l’acqua in vino ma il vino in acqua per chi ne ha bisogno. Chapeau!